Stazione di Merano. Al binario 1 Helmuth Moroder, 46 anni, ingegnere,
consulta l’orologio. “Le 13:15” mormora, e dispiega la carta del
tracciato: l’intreccio di linee la rende simile ad un complicato
cartamodello. Una delle numerose linee a zig zag conduce alla stazione
di Merano, dove sta per arrivare il treno proveniente da Bolzano e
diretto a Malles. Spacca il minuto. “Questo è importante!” dice Moroder.
“Qui ormai la gente regola l’orologio in base al nostro treno!” e non è
poco, soprattutto in Italia dove la puntualità dei treni lascia spesso a
desiderare. Moroder consulta ancora una volta l’orologio: “sono le
13:16, l’ora d’arrivo indicata nell’orario ufficiale. Il convoglio dalla
forma aerodinamica fa il suo ingresso in stazione scivolando sui
binari. Un gioiello nuovo di zecca, confortevole, con finestre
panoramiche e strisce arcobaleno sul tetto. All’ora di pranzo è pieno
zeppo di pendolari, studenti e turisti.
Un successo inatteso
“Abbiamo iniziato con otto di questi convogli e poco dopo siamo stati
costretti ad acquistarne altri quattro”, racconta Moroder. “E benché
ogni treno sia in grado di trasportare più di duecento passeggeri,
continuano a non bastare”. Nemmeno i più ottimisti avrebbero mai
scommesso su un successo del genere. “Avevamo sperato in un milione e
mezzo di passeggeri all’anno dopo un periodo di avviamento di cinque
anni”. Già nel 2007, terzo anno dall’entrata in servizio, i passeggeri
erano due milioni, superando ampiamente tutte le previsioni. Ogni giorno
450 abitanti della valle, che prima dell’apertura della linea
ferroviaria usavano l’automobile, usufruiscono del treno, percorrendo in
media circa 25 chilometri al giorno: questo significa quattro milioni
di chilometri in meno percorsi in automobile all’anno. E circa mille
tonnellate di anidride carbonica emesse nell’aria. Moroder ripiega la
cartina con il tracciato che sintetizza il suo lavoro degli ultimi otto
anni, e riassume il risultato con sole cinque parole: “andare in treno è
in!”.
Se attorno al 2000, quando Moroder divenne responsabile del progetto,
ci fosse stato un referendum, “la stragrande maggioranza della
popolazione si sarebbe espressa contro il nostro progetto di ferrovia”,
ci assicura. I valligiani ricordavano, con un certo brivido, i vagoni
color ruggine della littorina che per decenni avevano arrancato lungo la
Val Venosta, la più occidentale dell’Alto Adige. Una linea regionale
che non aveva mai avuto grandi ambizioni. L’attività cessò
definitivamente nel 1991. Ormai i ritardi erano all’ordine del giorno,
la littorina era talmente sporca e malandata che tutti si rifiutavano di
salire a bordo, e le Ferrovie dello Stato italiane si videro costrette a
sospendere il servizio. In quegli anni tutta la rete venne
ridimensionata. “Rimasero solo le linee principali, i rami secchi
vennero tagliati”. La Val Venosta era appunto uno di questi. Le città e i
comuni puntavano a investire sulla rete autostradale. “Andare in treno
era out”, afferma Moroder.
Che cos’è successo in questo breve lasso di tempo? In fondo, il nuovo
treno della Val Venosta che nel maggio 2005 si arrampicava per la prima
volta verso Malles, superando un dislivello di settecento metri, e
tutt’altro che un figlio desiderato dalla popolazione e dalle autorità.
Al contrario, i promotori del progetto hanno dovuto battersi per
decenni. La loro capacità di imporsi sulle resistenze della popolazione
rappresenta un caso esemplare nella storia dell’ambientalismo e, nel
frattempo, funge da falsariga a progetti simili, nell’arco alpino e
altrove.
Attraversare la Val Venosta in automobile è spesso un continuo “stop
and go”, soprattutto nei mesi estivi; la popolazione nei paesi risente
dei gravi paesi dei gas di scarico e dell’inquinamento acustico. Le
pesanti emissioni dovute al traffico automobilistico hanno rappresentato
un valido argomento a favore della rinascita della ferrovia. I suoi
fautori hanno anche potuto far riferimento allo sviluppo del trasporto
su rotaia in corso nella vicina Svizzera, in cui negli utlimi quindici
anni, infatti, le capacità ferroviarie erano state incrementate del 30%
circa, infittendo la rete e introducendo più collegamenti regolari.
In base all’Ufficio Federale svizzero di Statistica, tra i 2000 e il
2005 la distanza percorsa annualmente in auto da ogni abitante è rimasta
identica. Nello stesso periodo il numero di chilometri percorsi in
ferrovia è invece cresciuto del 19%. Pur con qualche ordine di grandezza
in meno, il metodo adottato in Val Venosta è lo stesso: la ferrovia
regionale circola dalle cinque e mezzo del mattino fino alle nove e
mezzo di sera, a intervalli di un’ora; nelle ore di punta la frequenza
viene aumentata ad un convoglio ogni mezz’ora.
Il treno comunica con i binari
L’aggiornamento tecnologico della ferrovia, che ne garantisce
sicurezza e affidabilità è costato centoquindici milioni di euro; si
pensi che la realizzazione della sola circonvallazione di Naturno, una
località della Val Venosta, ha richiesto una somma quasi analoga. Nella
centrale di controllo di Merano, la ferrovia dispone di un dispositivo
elettronico in grado di comandare tutti gli scambi, le barriere dei
passaggi a livello e il segnalamento. Il sistema di controllo sorveglia
automaticamente la velocità del convoglio e attiva un meccanismo
automatico di arresto nel caso in cui uno dei 20 macchinisti si dovesse
sentire male. “Il treno comunica con i binari”, spiega Moroder e sale
sul “suo” treno. Nel viaggio verso Malles percorrerà sessanta chilometri
in 82 minuti, fermandosi esattamente mezzo minuto in ognuna delle 17
stazioni. Ogni 2 ore cinque piccole fermate non sono servite, riducendo
così il tempo di percorrenza a 68 minuti. E il tutto al prezzo di
quattro euro. Davvero la soluzione più economica e comoda possibile.
Ormai anche i venostani la vedono in questo modo, come i turisti, che
sempre più spesso usano questo treno. “Si viaggia come se si stesse
scivolando sull’acqua”, dice entusiasta una donna non più giovanissima
della vicina Val Pusteria. A Malles noleggerà una bici per godersi il
ritorno in discesa insieme al marito.
Quasi senza rumore, la ferrovia si avvita in una rapida curva a S
verso i comuni di Algundo e Marlengo; attraversa i primi ponti, si
insinua in tre gallerie e concede al viaggiatore uno sguardo sulla città
termale di Merano, sul fondo della valle. Per Moroder ogni galleria ha
un particolare significato: quella prima di Tel, ad esempio, era in
condizioni talmente penose da mettere a rischio l’intero progetto.
“L’abbiamo completamente risanata” dice “ma qui non possiamo superare i
settanta chilometri orari. In caso contrario si sarebbe reso necessario
inclinare il treno e i binari e lo spazio non era sufficiente”. In
effetti, fra il tetto del treno e la galleria, ci sono solo pochi
centimetri.
Per Moroder, che vive a Bolzano, negli ultimi anni la Val Venosta è
diventata quasi una seconda patria. Conosce ogni metro del tracciato,
ogni comune, ogni sindaco, la maggior parte delle associazioni. Quando
la decisione politica di far rivivere il treno era ormai stata presa,
molti degli abitanti della valle non ne volevano sapere. In primo luogo
era necessario convincerli della sua utilità pratica ed ecologica per
poi renderli utenti abituali del nuovo gioiello.
Per la realizzazione del progetto i soldi non erano un problema.
Grazie all’autonomia, l’Alto Adige è una provincia benestante. Vi
ritorna infatti il novanta percento del gettito fiscale. Il suo
territorio si è sviluppato nel corso degli anni settanta e ottanta: da
una struttura agricolo-rurale a una economia fiorente che può contare su
generosi introiti provenienti dal turismo e dai frutteti disposti lungo
il percorso della ferrovia. “La ferrovia è un vero richiamo soprattutto
per i turisti”, si esalta Morder, aderente ai Verdi ed ex consulente di
Reinhold Messner, quando l’alpinista era ancora europarlamentare per
l’Italia. “Lassù, dall’altra parte dell’Adige, c’è il suo castello”,
spiega Moroder e indica la residenza estiva di Messner di fronte alla
stazione di Stava. L’appassionato alpinista si era impegnato a favore
della ferrovia? “In realtà no. Sopra il tracciato della ferrovia, aveva
proposto di realizzare una pista ciclabile”. Come tutte le diciassette
lettere della Val Venosta anche quella di Stava è una costruzione in
Fachwerk (tecnica costrittiva tipica del nord Europa, con travi a vista e
tamponamento in terra cruda), il cui tetto a padiglione, il frontone,
le decorazioni liberty e le verande lignee ricordano una casa di
campagna. L’archietto venostano Walter Dietl ha progettato le fermate
con funzionali strutture in acciaio e legno. “I nostri binari sono per
altro completamente privi di barriere archiettoniche”, dice Moroder e
indica i listelli di legno che riducono la distanza tra binario e treno,
consentendo persino alle sedie a rotelle elettriche di salire
facilmente a bordo con le loro piccole ruote. “E nonostante abbiamo
dovuto ricostruire tutto ex novo, non è nemmeno costato molto”. La
ferrovia della Val Venosta è oggi “l’unica tratta ferroviaria in Europa
completamente priva di barriere archiettoniche”.
Quando il treno era “out”
Fermata intermedia a Silandro, dove vive Heinrich Zoderer, 49 anni,
maestro, che per più di un decennio ha preceduto il gruppo ambientalista
della Val Venosta. “Senza di loro e Heinrich Zoderer non ci sarebbe la
ferrovia”, dice Moroder. Alla merà degli anni ’90 il gruppo aveva 250
iscritti, molti di loro combattevano attivamente per la conservazione
della ferrovia. Per ben quindici anni. “Non eravamo disposti a tollerare
che tutti i soldi fossero destinati al potenziamento della rete
stradale”, dice Zoderer sfogliando alcuni giornali dell’epoca sul tavolo
della cucina. “Quando ero giovane frequentavo la scuola superiore di
Merano e ci andavo con il vecchio treno. Il viaggio costava poco.
All’ora era la soluzione di trasporto per le persone semplici, per i
bambini e per gli anziani”. Se non altro, si sarebbe battuto per loro.
Ma all’inizio sembrava che la linea dovesse essere smantellata per
sempre fra le massime autorità dei comuni della Val Venosta, nessuno
sentiva la mancanza della vecchia littorina. Nemmeno il sindaco di
Malles, Josef Noggler. Il suo comune di 5000 abitanti era tagliato
fuori, distante nell’alta valle, a 1050 metri sul livello del mare, e
avrebbe beneficiato di un collegamento ferroviario. “Ma allora non
credevo che potesse avere successo”, ammette il sindaco. “Si facevano
beffe di noi e ci compativano” ricorda Zoderer.
A un certo punto però vennero presi sul serio. Perché? “Fu un lavoro
duro e faticoso, un continuo martellamento, che iniziò quando il treno
era ancora in servizio”. Già alla fine degli anni ottanta Zoder usò la
sua vecchia macchina da scrivere per formulare una prima idea in merito
al funzionamento della linea. Doveva trattarsi di un treno
tecnologicamente aggiornato che circolasse con frequenza oraria. “Con
questa idea andai da sindaco a sindaco. Scuotevano solennemente la
testa, dicendo che il mio impegno era una gran bella cosa ma che non
avrebbe portato lontano”. Heinrich Zoder ha raccolto gli avvenimenti dei
dieci anni successivi in dodici raccoglitori. “Solo la parte più
importante; il resto è in cantina, negli scatoloni”. Si tratta di
articoli sulla stampa, lettere pubbliche ai politici, statistiche sullo
sviluppo dei trasporti, dichiarazioni di associazioni, lettere alle
amministrazioni. Zoderer e un gruppetto di uomini e donne si recarono
diverse volte in Austria per osservare ferrovie gestite da privati, che
funzionavano e che addirittura producevano utili. “Non volevamo
ripristinare idee nostalgiche su rotaia, ma cercavamo una soluzione
moderna ed ecologia”. Condussero centinaia di colloqui, si inventarono
un concorso di idee e organizzarono un’esposizione itinerante che
viaggiava di paese in paese per pubblicizzare il progetto. “Inventavamo
continuamente nuove iniziative per far si che la stampa si occupasse del
tema e non cadesse così nel dimenticatoio, il tutto su base
volontaria”.
Dopo dieci anni di azioni ininterrotte, Zoderer era giunto allo
stremo. “Pensai che nel giro di poco la linea ferroviaria sarebbe stato
un argomento da affidare alla protezione della natura, perché gli alberi
che vi crescevano avevano raggiunto ormai qualche metro di altezza”,
dice scherzando. Ma poco dopo gli ambientalisti poterono finalmente
festeggiare: dopo innumerevoli petizioni, l’amministrazione provinciale
decise di risanare la linea seguendo le proposte dei promotori
dell’iniziativa. Incredibile! Oggi Zoderer ritiene che le regole della
politica resero questa decisione opportuna: era stata appena approvata
la decisione a favore di un aeroporto a Bolzano e della costruzione di
una strada di percorrenza veloce fra Merano e il capoluogo di provincia;
il progetto della ferrovia della Val Venosta, ecologicamente sensato,
rappresentava un ottimo contrappeso e capitava a proposito.
La svolta di Moroder
Il Ministero dei Trasporti italiano aveva già consegnato la linea
all’Alto Adige, che incaricò la società di proprietà della provincia, la
Strutture Trasporto Alto Adige s.p.a. (STA), di rimettere in funzione
la linea. “Mi assunsero nel 2000”, riferisce Moroder, ingegnere civile
di formazione. Non aveva nessuna esperienza nel settore ferroviario. “Ma
nella veste di ambientalista mi ero impegnato e battuto da sempre a
favore dei trasporti pubblici e probabilmente pensavano che me ne
intendessi”.
Per lo meno sapeva esattamente quello che voleva: “un elevato comfort
di viaggio, convogli nuovi e moderni, spese di esercizio basse e poco
personale”. I costi complessivi sarebbero stati di almeno cento milioni
di euro. L’amminstrazione provinciale acconsentì e si assunse
addirittura i costi di gestione. Secondo i primi calcoli, infatti, degli
otto milioni di euro all’anno, i passeggeri ne avrebbero coperti
solamente tre.
La durata dei lavori fu di cinque anni. A questo punto i tredici
sottopassaggi, i settanta ponti e le tre gallerie erano completati.
Moroder si vide costretto a far chiudere cinquantaquattro degli
ottantacinque vecchi passaggi a livello. “Ci furono trattative serrate
con i sindaci e con gli agricoltori”. In cambio vennero costruite piste
ciclabili e sentieri pedonali lungo i binari, con semplici e stabili
steccati di legno tipici della valle. “Spesso la sera andavo ancora sul
posto per occuparmi delle lamentele di qualche agricoltore”. Una ruspa
aveva rovinato qualche melo, una gru era ferma da una settimana nel
campo che doveva essere arato, la costruzione di un ponte bloccava il
traffico. Moroder dovette convincere novanta contadini a vendere una
fetta della loro terra, necessaria per la realizzazione delle piste
ciclabili. “Se uno solo avesse rifiutato ci sarebbero voluti mesi”.
A Malles si arriva al capolinea. Qui c’è la vecchia rimessa che
l’architetto Walter Dietl ha adattato alla nuova ferrovia, la
piattaforma girevole su cui in passato le locomotive potevano invertire
il senso di marcia, l’impianto di lavaggio (i treni vengono lavati
quotidianamente, e appena arrivano a Malles vengono puliti all’interno).
Sulla pista da skate appositamente allestita numerosi giovani si stanno
allenando, i bambini giocano nel parco, nel bar della stazione diversi
pensionati stanno facendo una partita a carte. Il sindaco Josef Noggler,
dal 2000 presidente della Comunità comprensoriale Val Venosta con 36000
abitanti, originariamente scettico nei confronti della ferrovia, oggi è
felice. E a ragione: “Malles è diventato un importante nodo stradale e
ferroviario che collega tre Paesi”. Da un lato della pensilina ci sono i
binari, dall’altro i pullman della Sad che arrivano e partono in
coincidenza con i treni. In più, le corriere svizzere fanno servizio tra
Malles e l’Engadina e collegano la ferrovia della Val Venosta alla rete
delle Ferrovie Retiche, quindi anche alle Ferrovie federali svizzere
(SBB-FFS). Presto ci sarà un collegamento analogo tra Malles e Landeck
in Austria.
Anche nelle valli vicine ci si è ormai accorti che “il treno è in”.
“Ora anche in Val Pusteria vorrebbero risanare la ferrovia”, dice
Moroder. E fra Caldaro e Bolzano si sta discutendo da tempo di rimettere
in funzione la vecchia linea ferroviaria. Il treno della Val Venosta ha
dimostrato agli altoatesini che la rotaia è una seria alternativa alla
strada: il numero di passeggeri è, infatti, due volte e mezzo maggiore
rispetto a quello degli autobus che in precedenza servivano questa
tratta. Moroder conclude: “Conosco alcuni abitanti della valle che hanno
già venduto la loro seconda macchina”.
Lancia uno sguardo all’orologio: sono le 17 e 32. Ancora tre minuti al prossimo treno. Che naturalmente sarà puntuale.