12 gennaio, Kampala
Oggi giornata interessante. Luca sta
girando un video sui rifugiati eritrei, girato tra l’Italia,
l’Uganda, l’Etiopia, forse Israele. Lui si occupa di intervistare
Benjamin, suo amico di lunga data, che vive a Kampala dal 2003,
quando venne qui aspettando il visto per andare il Canada dalla
moglie, emigrata l’anno precedente. Ma il visto non è venuto, e
lui è rimasto qui. Ora sopravvive a Kabalaga, quartiere della movida
di Kampala.
Ho chiesto se potevo andare anche io a dare una mano,
facendo riprese con la mia macchinetta. Siamo usciti verso le 11,
Benjamin è arrivato poco dopo che Luca lo aveva chiamato, con gli
occhi pesti di chi si è appena alzato dopo poche ore di sonno. Siamo
andati a mangiare poco in un ristorantino etiope, dove il mio
cavalletto è caduto in terra, sbattendo nel posto probabilmente più
sensibile, così si è rotto. A nulla è servito andare a comprare la
colla dagli indiani. Quindi siamo andati a cercare il Qat, erba
eccitante che si mastica, in dosi elevate ha l’effetto delle
anfetamine; qui come in tutta l'Africa orientale è parecchio diffusa, l’ho anche assaggiata ma non
mi è piaciuta, troppo amara. (Cliccando QUI un interessante inchiesta sull'oro verde dell'Africa). L’abbiamo comprata in un posto
apparentemente “de paura”: un minuscolo cortile in un vicolo,
dietro una vecchia porta in ferro; c’era un gruppo di uomini
impegnati in scommesse sul calcio europeo e su qualunque altra cosa,
naturalmente sono stato oggetto dei loro sguardi, ma dopo poco tutto
si è risolto in sorrisi e chiacchiere in tranquillità. L’apparenza
inganna.
Via di lì siamo partiti alla ricerca del posto adatto per
il tipo di inquadratura che Luca aveva in mente, abbiamo girato un
casino, intrattenuti dalla lingua sciolta di Benjamin con i suoi
racconti di strada e che, tra le altre cose, ci ha illustrato la
funzione degli asini nell’esercito eritreo, sostenendo che
avrebbero meritato la decorazione degli alti comandi per avere
impedito la dispersione delle truppe impegnate in guerra, assolvendo
a quella funzione che spesso alcune signorine, appositamente portate
sul posto, portano avanti per la truppa. Ecco, ho cercato di dirlo
nel modo più soft possibile. Altre cose invece è meglio che non le
riferisca, perché non si possono dire in maniera soft.
Finalmente
dopo lungo peregrinare siamo andati in un locale gestito da uno
statunitense (avendo avuto la fortuna di essere stato più volte in
America del Sud, ho imparato che “Americani” sono tutti quelli
che vivono tra l'Alaska e la Patagonia); il locale ha un grande
salone, buio al punto giusto per le nostre esigenze. Abbiamo
impiegato oltre un’ora per fare le inquadrature con le due
macchine, cercare le luci giuste senza trovarle tutte, andare a casa
per cercare un lampada, trovare la porta chiusa, allora prendere in
cortile un parabola da tv, tornare in mototaxi con la parabola fra me
e l’autista ed i probabili sguardi stupiti che osservavano il
Musungu passare con quella enorme padella, andando chissà
dove e chissà perché.
Giunti al dunque occorreva fare partire
l’Hashisha, macchinetta da fumo con acqua ed aromi, che ci serviva
per la riprese (Luca voleva un inquadratura piena di fumo), anche questo avvio è stato problematico, ho proposto
di comprare un fumogeno da stadio e accenderlo sotto la sedia di
Benjaminm. Proposta respinta all’unanimità. Finalmente siamo
partiti con le riprese, io mi sono allontanato per lasciare che
Benjamin fosse più libero di parlare in tranquillità. Dopo un po’
Luca si è accorto che aveva lasciato il microfono spento. Bestemmie.
Pochi minuti dopo averlo acceso la sua macchina si è surriscaldata e
quindi si è spenta. Invocazioni all’altissimo. Quando siamo
ripartiti, i bambini in cortile hanno iniziato quasi subito a fare
casino, registrazione interrotta e tentativo di corruzione dei
bambini stessi “state zitti, poi vi dà mille scellini, Diu Faus!”.
Dopo la ripartenza sono passati pochi minuti si è esaurita la
batteria della mia macchina. Riprese rinviate a domani. Sembravamo
Stanlio e Ollio. Diciamo che abbiamo fatto esperienza. Comunque sia
mi è piaciuto giocare al documentarista.
La successiva ora l’ho
trascorsa ascoltando Benjamin (soprattutto), Luca ed il ragazzo
gestore del locale conversare, si è spaziato dalla storia delle
varie tribù africane alla corruzione nel governo kenyano, passando
per la sconfitta italiana ad Adua, Hailè Selassiè, i gas dei
fascisti in Etiopia, gli antenati di Benjamin che uccidevano i leoni
con due coltelli come prova iniziatica, stregoni che ammazzavano
bambini con lo sguardo, il recente attentato a Nairobi attribuito
agli estremisti somali di Al Shabaab ma in realtà forse commesso per
giochi di potere in Kenya.
Benjamin è un pozzo di conoscenza,
apparentemente, ma soprattutto è un fiume di parole; se Luca cercava
di parlare un po’ con l’altro ragazzo, lui o continuava a
parlargli sopra rivolgendosi a me, o si alzava in piedi per
sottolineare la bontà dei suoi argomenti e riprendersi il pallino
della conversazione. Un tipo. Luca sostiene che viaggia sul filo tra
realtà e finzione. Rose dice direttamente che il 70% delle cose che
dice sono balle.
Stasera compleanno di Katu. Cognati in loop sulla questione
riprese, inquadrature, luci, saturazione, messa a fuoco, profondità
di campo, batterie in ricarica costante.
Pensavo di riproporre la
questione fumogeno, poi ho lasciato stare.
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