(Segue)
Comunque,
ritiriamo i bagagli ci avviamo verso l’atrio. Fa parecchio caldo anche se è
buio da un pezzo. Si, perché non ci si rende conto di quanto levantino sia il
Salento. Dovrebbe avere il fuso orario greco. C’è un’ora piena di differenza
con il tramonto della regione più occidentale d’Italia, in cui viviamo noi.
Lecce e Budapest condividono la stessa longitudine.
All’arrivo
del 754 ci siamo organizzati, una femmina va al binario e fa la guardia al
bagagliame, i due maschi fanno la spola con borsoni da hockey, zaini, trolley,
supertrolley, sacchetti, ecc; l’altra femmina resta a presidio di bagagli e
bambini, che non gradiscono l’idea e sono in rivolta, presto sedata. Carichiamo
tutto con tumulti di poco conto, che però si protrarranno anche dopo la
partenza, portando una delle mamme a minacciare di percosse le proprie figlie
ed anche quelle altrui.
Il Milano parte mezzo vuoto, e ci illudiamo che anche
il nostro non sia pieno. Il ferroviere a cui rivolgo la domanda stronca ogni
illusione con quattro parole: “si riempie di sicuro”. Il nostro territorio
consiste in uno scompartimento intero ed uno a metà, nel quale io, Paolino ed
una delle bambine ci siamo organizzati, abbiamo fatto le prove di posizione,
due e mezzo per tre sedili. Mando anche la foto all’amico amante della ferrovia
tramite uotsappa, già dal pomeriggio ho iniziato a farlo partecipe della
imminente transitaliana direzione nord ovest.
Alle
22,10 arriva il magico fischio, il nostro scompartimento non si è popolato.
Penso che il ferroviere abbia sbagliato la previsione. Sta minchia. Alla prima
fermata, Brindisi, eccoci in sei. Davanti a me una ragazza talmente soda che
sembra di marmo, molto gentile ed anche bella nel suo genere. Lei scenderà
presto, a Monopoli, una delle tremilaseicentoventi fermate pugliesi del 754.
Verso il corridoio siede ora una coppia di mezza età, a domanda rispondono
“andiamo ad Ancona”. Sconforto. Dopo un po’ becco il lui della coppia che
guarda sul tablet un catalogo di donnine svestite, al riparo dagli occhi della
moglie. Strepitoso.
Compatibilmente
con lo spazio a disposizione cerchiamo di riposare. A tratti dormo anche un
po’. Ostuni-Fasano-Monopoli. A Monopoli la ragazza scende, fino a Bari abbiamo
quattro sedili. Mi addormento. Il ragazzo titolare del posto, che sale nel
capoluogo mi sveglia fischiando. Sti cazzi. Siamo nella prima carrozza dietro
la motrice, il treno fila nella notte che pare velocissimo, il conducente forse
conosce gente lungo tutto il tragitto perché suona in continuazione. Che
figata. Vorrei registrarlo. Ogni tanto mando all’amico ferroviofilo un
messaggio, immagino li leggerà
domattina. In men che non si dica siamo nel Gargano, a Foggia dormivo. Ricordo
almeno tre compagni di naja provenienti da queste parti, i loro paesi avevano
nomi come San Marco Inlamis, Troia, San Severo, dove passiamo alle zero una e
quarantasei. Un’oretta dopo c’è Ortona, che non ho idea di dove sia.
Alle tre
scarse il treno arriva a Pescara, sento dire, o forse sogno, che siamo in anticipo.
Quindi stiamo fermi una vita. Anche questa volta mando una saluto all’amico
pescarese, che dopo un po’ mi risponde, mentre cade dalla poltrona verso il
letto. Ad Ancona centrale la coppia scende, restiamo in tre e mezzo. Nuova
sosta prolungata, il conducente pilota il notturno come se fosse una freccia,
abbiamo trenta minuti di anticipo. Questa città mi ricorda Ferrini, uno dei
personaggi di “Quelli della notte”, un veterocomunista con cravatte
improbabili, che ad Ancona voleva costruire un muro. Verso la Romagna il tipo
del nostro scompartimento scende, non lo sento perché dormo, chissà se ha
fischiato per salutare?
Fino a Bologna è una festa, abbiamo un po’ di spazio,
ormai è giorno ed il mio sonno latita, e non solo il mio. Vado a prendere la
moglie, di nuovo accucciata nel corridoio in un suo tipico eccesso di
altruismo, e la metto al mio posto a dormire. La carrozza inizia a rianimarsi
(per la verità qualcuno non ha mai smesso di parlare…), un uomo con pancia
sosta a lungo davanti al suo scompartimento e guarda fuori. Chissà verso cosa
viaggia lui.
Ad Imola è giorno fatto, io siedo sul seggiolino del corridoio
ascoltando nelle cuffie l’inno nazionale sovietico. Naturale mandare un
messaggio al collega comunista. Si susseguono campi e campi, tutto in ordine.
Saluto via uotsappa la cognata africana di Bologna dalla stazione della sua
città d’adozione. Colazione per tutti. I bambini sono svegli da un po’. Moni
per fortuna è l’ultima a svegliarsi.
Nel
frattempo erano passati un paio di ragazzi con un carrello annunciando caffè e
brioches. Ricordando un viaggio del 1991 su un treno sovietico, tratta notturna
da Mosca a Vitebsk, chiedo se è gratis. Non sono sicuro che apprezzino la
provocazione.
(Continua)
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