martedì 16 settembre 2014

TRANSITALIANA DI RITORNO - Parte due


(Segue)
Comunque, ritiriamo i bagagli ci avviamo verso l’atrio. Fa parecchio caldo anche se è buio da un pezzo. Si, perché non ci si rende conto di quanto levantino sia il Salento. Dovrebbe avere il fuso orario greco. C’è un’ora piena di differenza con il tramonto della regione più occidentale d’Italia, in cui viviamo noi. Lecce e Budapest condividono la stessa longitudine.
All’arrivo del 754 ci siamo organizzati, una femmina va al binario e fa la guardia al bagagliame, i due maschi fanno la spola con borsoni da hockey, zaini, trolley, supertrolley, sacchetti, ecc; l’altra femmina resta a presidio di bagagli e bambini, che non gradiscono l’idea e sono in rivolta, presto sedata. Carichiamo tutto con tumulti di poco conto, che però si protrarranno anche dopo la partenza, portando una delle mamme a minacciare di percosse le proprie figlie ed anche quelle altrui. 
Il Milano parte mezzo vuoto, e ci illudiamo che anche il nostro non sia pieno. Il ferroviere a cui rivolgo la domanda stronca ogni illusione con quattro parole: “si riempie di sicuro”. Il nostro territorio consiste in uno scompartimento intero ed uno a metà, nel quale io, Paolino ed una delle bambine ci siamo organizzati, abbiamo fatto le prove di posizione, due e mezzo per tre sedili. Mando anche la foto all’amico amante della ferrovia tramite uotsappa, già dal pomeriggio ho iniziato a farlo partecipe della imminente transitaliana direzione nord ovest.
Alle 22,10 arriva il magico fischio, il nostro scompartimento non si è popolato. Penso che il ferroviere abbia sbagliato la previsione. Sta minchia. Alla prima fermata, Brindisi, eccoci in sei. Davanti a me una ragazza talmente soda che sembra di marmo, molto gentile ed anche bella nel suo genere. Lei scenderà presto, a Monopoli, una delle tremilaseicentoventi fermate pugliesi del 754. Verso il corridoio siede ora una coppia di mezza età, a domanda rispondono “andiamo ad Ancona”. Sconforto. Dopo un po’ becco il lui della coppia che guarda sul tablet un catalogo di donnine svestite, al riparo dagli occhi della moglie. Strepitoso.
Compatibilmente con lo spazio a disposizione cerchiamo di riposare. A tratti dormo anche un po’. Ostuni-Fasano-Monopoli. A Monopoli la ragazza scende, fino a Bari abbiamo quattro sedili. Mi addormento. Il ragazzo titolare del posto, che sale nel capoluogo mi sveglia fischiando. Sti cazzi. Siamo nella prima carrozza dietro la motrice, il treno fila nella notte che pare velocissimo, il conducente forse conosce gente lungo tutto il tragitto perché suona in continuazione. Che figata. Vorrei registrarlo. Ogni tanto mando all’amico ferroviofilo un messaggio, immagino li  leggerà domattina. In men che non si dica siamo nel Gargano, a Foggia dormivo. Ricordo almeno tre compagni di naja provenienti da queste parti, i loro paesi avevano nomi come San Marco Inlamis, Troia, San Severo, dove passiamo alle zero una e quarantasei. Un’oretta dopo c’è Ortona, che non ho idea di dove sia. 
Alle tre scarse il treno arriva a Pescara, sento dire, o forse sogno, che siamo in anticipo. Quindi stiamo fermi una vita. Anche questa volta mando una saluto all’amico pescarese, che dopo un po’ mi risponde, mentre cade dalla poltrona verso il letto. Ad Ancona centrale la coppia scende, restiamo in tre e mezzo. Nuova sosta prolungata, il conducente pilota il notturno come se fosse una freccia, abbiamo trenta minuti di anticipo. Questa città mi ricorda Ferrini, uno dei personaggi di “Quelli della notte”, un veterocomunista con cravatte improbabili, che ad Ancona voleva costruire un muro. Verso la Romagna il tipo del nostro scompartimento scende, non lo sento perché dormo, chissà se ha fischiato per salutare? 
Fino a Bologna è una festa, abbiamo un po’ di spazio, ormai è giorno ed il mio sonno latita, e non solo il mio. Vado a prendere la moglie, di nuovo accucciata nel corridoio in un suo tipico eccesso di altruismo, e la metto al mio posto a dormire. La carrozza inizia a rianimarsi (per la verità qualcuno non ha mai smesso di parlare…), un uomo con pancia sosta a lungo davanti al suo scompartimento e guarda fuori. Chissà verso cosa viaggia lui. 
Ad Imola è giorno fatto, io siedo sul seggiolino del corridoio ascoltando nelle cuffie l’inno nazionale sovietico. Naturale mandare un messaggio al collega comunista. Si susseguono campi e campi, tutto in ordine. Saluto via uotsappa la cognata africana di Bologna dalla stazione della sua città d’adozione. Colazione per tutti. I bambini sono svegli da un po’. Moni per fortuna è l’ultima a svegliarsi.
Nel frattempo erano passati un paio di ragazzi con un carrello annunciando caffè e brioches. Ricordando un viaggio del 1991 su un treno sovietico, tratta notturna da Mosca a Vitebsk, chiedo se è gratis. Non sono sicuro che apprezzino la provocazione.
(Continua)

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