mercoledì 8 ottobre 2014

NON C'E' TITOLO.

Viaggiando in bici si colgono meglio i silenzi, le sensazioni, i rumori. Pedalando verso il villaggio pensavo fra me e me che avrei dovuto trovarlo più silenzioso del solito, a causa di una tragedia simile. Mi pareva doveroso. Invece c'era il solito tran tran, non c'era più silenzio, le mamme che andavano verso le scuole a prendersi i figli, per strada il solito numero di macchine, eccetera. Il villaggio non si era fermato, come pensavo io. Del resto io per primo non mi sono fermato. Al funerale non sono andato, per me non sarebbe stato sostenibile. Soprattutto per me non sarebbe stato sostenibile vedere i figli. Perchè io stesso sono stato tanti anni fa esattamente in quella situazione, non proprio bambino, ma al centro degli sguardi pietosi, tristi, imbarazzati di centinaia di persone. Quindi mi sono tenuto alla larga, come ho fatto in queste ultime settimane ogni volta che sentivo parlare in casa della tragedia imminente. Non una tragedia di quelle che fanno notizia, ma comunque una tragedia. 
Il ricordo che mi terrò prezioso di quel simpaticone con il sorriso un pò storto sono le tante volte in cui, arrivando a casa dei miei suoceri, mi accorgevo che lui era al di là della siepe, a casa dei suoi, e urlavo: "Giaaalllloooo!", e lui rispondeva: "Ceeeellloooo!".


Quello che è certo, quello che mi tiene ben ancorato con i piedi per terra, schiantato dal senso di realtà e di totale fragilità, è che fra i personaggi di questa foto fatta a Bolzano un ventidue, ventitre anni fa, in un campionato nazionale di uno sport improbabile, siamo già a meno due...

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