“Al
funerale c'erano tutti dal commissario al sacrestano”,
avrebbe potuto scrivere il più grande poeta del '900 italiano. Ed è
stato così: un fiume di gente è uscito dal palazzetto ed ha
percorso a piedi quel pezzo di strada che separa i due templi del
villaggio. Proprio quel pezzo di strada sul quale era facile vederlo
camminare, già ore ed ore prima della partita. Così come era facile
vederlo in strada al mattino presto, prima del sole, seduto sulla
panchina davanti all'edicola hockeystica, in attesa di andare al
lavoro.
Un
uomo della comunità nel vero senso della parola, uno che ha vissuto
e lavorato tutta la vita per le strade di quella comunità, un uomo
che nel giorno del suo funerale ha unito il villaggio intero,
facendosi salutare da persone diverse, diversissime fra loro, che
hanno riempito il pomeriggio di occhi rossi.
Alla
fine del culto, uno dei due omonimi ha detto che il suo museo gli è
dovuto. Resta in molti di noi membri della comunità, credo, il
rammarico irrecuperabile che quel museo, se si riuscirà a fare, sarà
soltanto un omaggio postumo ad un collezionionista altruista, perchè
Ivan non teneva il suo tesoro per sé. Ti fermava per strada, scavava
in un sacchetto e ti mostrava una foto, un gagliardetto, un
dischetto.
Io
credo che quel museo, per quanto piccolo dovesse essere, sia un
dovere per la comunità che lui ha servito, e che lo ha accolto,
facendomi sentire orgoglioso di farne parte.
Ciao
Ivan Ballada, ti ho voluto proprio bene.
Nessun commento:
Posta un commento