5 Settembre - Incontro con Bin Laden
“Hai fatto il calcolo di quanto tempo ci vuole?”
“si, circa dieci secoli; i profeti sono 2400, ed ognuno può
avere più mogli…”
“Sono molte generazioni, sei sicuro che i tuoi eredi ti
daranno ascolto?”
“Se vogliono il mio rispetto dovranno assecondare la mia
volontà…”
“…”
Sono uscito a passeggio per il villaggio con Noa, con la
scusa di portare la foto che l’hanno scorso ho fatto al Signor Mahmoud,
proprietario dello spaccio di Oum Dhouil. Ma il mio intento era quello di
incontrarlo. Tornando indietro l’ho beccato, naturalmente era al caffè. Ha
traversato la strada e mi è venuto incontro. Zucchetto bianco in testa,
Djallaba marrone fino ai piedi, un vecchio cellulare in mano. E sempre quegli
occhi vispi, accesi, furbo. E la barba
lunga, ben sotto il mento, con qualche pelo bianco. Noa lo ha salutato con la
manina, lui si è abbassato per cercare di baciarla, ma lei si è venuta a
nascondere tra le mie gambe. Scambiati i saluti di rito, gli ho detto che
dovevo andare a Menzel Temime per comprare del pesce, e gli ho proposto di
venire con me. Lungo la strada il cielo verso il mare era cupo, viola,
annunciava pioggia. Un bel contrasto con il marrone dei campi, dove iniziati i
lavori di aratura per le semine ed i trapianti.
“Allora come va la Tunisia?”
Ma lui aveva voglia di parlare di altro, aveva voglia di tessere
le lodi della professione del commerciante, che dà libertà, “perché puoi
mettere un commesso, ma guadagnare un sacco di soldi, e farti la tua vita,
vieni qui a mettere su un commercio in Tunisia”. E ancora, “non bisogna
sottostare al ricatto del salario fisso!”, poi aveva voglia di spiegarmi la sua
ricetta “io commercio (pesce, mi ha detto questa volta), la moglie a casa a
guardare i figli, va bene così!”. Volevo dirgli che aveva scordato un
ingrediente nella ricetta: il tempo passato al bar… Ma ho lasciato stare, non
sono qui per dare giudizi su un mondo che ignoro. Sta per avere il quarto
figlio, che si chiamerà Omar, “Inchallah” (se Dio vuole), gli altri tre sono
nati negli ultimi 4 anni. E lui ha già pronto il nome per il quinto, sia nella
versione maschio che in quella femmina. Allora gli chiedo fino a quando intende
andare avanti a farne, di figli. E lui mi spiega il suo piano di dare il nome
di un profeta o della moglie di un profeta ad ogni figlio, e poi nipote dei
nipoti dei nipoti, e arriviamo al calcolo illustrato all’inizio.
“Come va la Tunisia? Ci sono molti problemi politici, forse
adesso sta per sbloccarsi qualcosa. Parlano di un nuovo governo, ma se poi si
deve votare fra due mesi, a cosa serve fare un governo per soli due mesi?! Il
problema è che sono attaccati al potere, alla poltrona”
“Cosa pensi del fatto che una parte dell’opinione pubblica
tunisina abbia attribuito la responsabilità, diretta o almeno morale, dei due
omicidi politici di oppositori che ci sono stati nell’ultimo anno, al partito
di governo, Ennahda?”
“Come facccio a giudicare, tocca ai tribunali giudicare, ci
vogliono le prove, ci vuole del tempo per fare giustizia, non lo so io chi sia
stato. Tutti gli attori della politica interna potrebbero essere i
responsabili. Anche da fuori, molti potrebbero essere dietro questi omicidi,
molti possono essere interessati ad una Tunisia instabile, al fallimento di una
vera transizione verso la democrazia. Potrebbe esserci dietro l’Algeria, il cui
governo non vuole mollare il potere e teme l’effetto emulazione, teme che gli
algerini si rivoltino anch’essi. Gli americani hanno degli interessi qui, la
Francia li ha, l’Italia li ha. Chi lo sa chi è stato? Sono tutti ipocriti, a
parole appoggiano le rivoluzioni fatte dal popolo per il popolo, ma prima non
avevano problemi nell’appoggiare i vari dittatori!
Nel frattempo ci avviciniamo a Menzel Temime, e comincia a
piovere. Quando arriviamo in città si scatena un temporale, quindi restiamo
chiusi in macchina a chiacchierare. Lui mi parla del valore della famiglia,
dell’importanza di “seminare bene per raccogliere bene”, del fatto che un
domani i suoi figli si occuperanno di lui, e mi parla delle case di riposo.
Allora gli racconto che lavoro faccio e, per rispondere alla sua teoria sul
commercio e la libertà, gli dico che io mi sono sempre sentito libero, anche da
dipendente, e che questa la considero una fortuna, credo che l’importante sia
fare continuamente un bilancio e, fino a quando questo è positivo, non ci sia
motivo di cambiare.
Usciamo dalla macchina ed andiamo al mercato, bagnandoci un
pò ma in macchina non si resiste più, fa caldo. Andiamo a comprare del pesce,
triglie e calamaretti, che poi portiamo a cuocere davanti al ristorante della
piazza. Lì davanti, come ogni giorno, si tiene il mercato di frutta e verdura.
Osservo per un po’ di tempo un venditore di uva, urla fortissimo storcendo la
testa di lato e facendo smorfie mostruose, a volte talmente urla forte che gli
si gonfia il collo e diventa rosso come un peperone, sembra preso dai demoni.
“Più le tasche sono vuote, più le urla sono forti”, commenta l’amico Bin Laden.
A un certo punto, forse per stuzzicare lo spettacolo dell’uomo urlante, forse
per noia, un paio di suoi colleghi cominciano a tirargli acini d’uva. E allora
lui, lascialo urlare!
“Prendi il telefono, chiama tua moglie!”
“Non ce l’ho il telefono, perché dovrei chiamarla?”
“Per dirle che avete un ospite a pranzo, così prepara:
verdura, frutta, il pesce lo abbiamo noi…”
“E chi sarebbe l’ospite?”
“Sarei io…”
“Ma poi tu mi inviti a casa tua, mi fai vedere tua moglie?!”
“Ah no! Io rispetto la legge di Dio!”
“E io rispetto la tradizione del paese dove sono! Facciamo
così: se tu ti fai fare una foto, io ti invito a pranzo e ti faccio vedere mia
moglie.”
“Ma una moglie non è oggetto di commercio!”
“Chiamiamolo scambio, allora…”
“Alla prossima”
“Alla prossima, ciao”
La prossima è poco dopo pranzo. Se ne arriva a casa e mi
porta un regalino per le piccole ed uno per me, è poco il valore materiale, ma
apprezzo il gesto. Mi invita al caffè per bere qualcosa. Appena mi siedo arriva
un tipo che si mette a parlare con me in arabo, non capisco ma capisco. Mi dice
ridendo che Bin Laden prima, quando era in Francia, era un capellone che
portava orecchini, anche al naso. Lui conferma e mi mostra le tracce. Facciamo
due chiacchiere e mi racconta che suo padre emigrò in Francia nel 1959, mise su
un commercio insieme a degli ebrei (“tre grandi negozi nella periferia di
Parigi”); dopo qualche anno, alla mia nascita nel 1966 (anche lui…), fu proprio
tramite degli ebrei che comprò una Mercedes “perchè allora i tedeschi non le
vendevano agli arabi; quando venne al villaggio la prima volta, nemmemo
Boughiba (il presidente dell’epoca, considerato un po’ il padre della patria)
aveva la Mercedes. Quando venne in questa zona per vedere un progetto, mio
padre lo andò a prendere con la Mercedes, ci sono le foto.”
Chiacchiere da bar?
Gli chiedo come mai lo chiamano così al villaggio. “Perché
allora non c’erano barbe (musulmani strettamente osservanti), io sono stato il
primo”.
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