giovedì 20 febbraio 2014

DI NUOVO IN VIAGGIO

 
 Gli abbiamo dato un passaggio; quando è sceso mi ha chiesto quanto ci doveva. "Una foto, ok?" - "Ok, Sir"

Dopo i giorni emozionanti di Ibanda e del Parco Queen Elizabeth, passiamo un paio di notti a Fort Portal, verso nord, poco lontano dal confine con il Congo. Per me sono giorni di riposo, capitiamo a dormire in un classico posto da viaggiatori, con un giardino adatto anche alle bimbe. C'è una ragazza tedesca convalescente dopo un incidente di bicicletta, ha parecchi punti al piede ed immense croste. 
 
 Fort Portal, quadretto di famiglia con moto (foto: bambina dal nome spagnolo)

Moni e Rose vanno a fare una gita, io sto "a casa" con le bambine e Luca. La prima sera stiamo al buio, qui spesso la città resta al buio, quando stiamo per addormentarci torna la luce e tutto l'ostello si riavvia. La seconda mattina vado a fare una gita con Yawe, l'autista. Andiamo verso un lago, ma la cosa che mi piace di più è la vita ai bordi della strada; la zona è bella, dappertutto fabbricano mattoni che poi mettono in vendita, sempre lungo la strada che è il luogo dove si svolge buona parte della vita; sperano di riuscire a vendere qualcosa. La quantità di polvere è impressionante, chi cammina o pedala ne mangia parecchia. 
 

 
  Fort Portal

 Panorama, dintorni di Fort Portal

  Fabbricazione di mattoni, dintorni di Fort Portal

Tornati a Fort Portal facciamo pranzo in un ristorante che serve anche pizza e spaghetti, e poi partiamo verso Kampala, distante circa 350 kilometri.
Poco fuori città ci fermiamo a comprare due caschi di matoke, costano circa 5 euro l'uno, in città sarebbero ben più cari. I caschi sono pesantissimi, aiuto Yawe a caricarli sul tetto e subito aumento la solidarietà verso chi li trasporta ogni giorno sulle bici.
Poco dopo l’uscita dalla città un commando di  “sumie dal cul plà” (babbuini, ma la parola inglese,  baboons, è più bella) ci assalta, vogliono banane. All’interno del minibus massima eccitazione, lasciamo solo un piccolo spazio di finestrino aperto, per evitare intrusioni, e da quello spazio distribuiamo banane, un maschio si mette in piedi accanto al minibus esibendo tutta la sua virilità, che non riesco a fotografare perché è solo un attimo che sfugge. 


Inutile dire che le espressioni delle scimmie, appese agli specchietti per guardare dentro l’abitacolo sono assolutamente umane, bellissime.
 
 Una famiglia, lungo la strada verso Kampala

Dopo un po’ ripartiamo, ed attraversiamo una zona meravigliosa di piantagioni di thè, varrebbe la pena tornare qui solo per venire alcune mattine presto a fare foto. L’idea è quella di fare metà strada oggi pomeriggio, dormire a Mubenda e fare l’altra metà del viaggio fino a Kampala sabato mattina. In realtà dopo un’ora e mezza decidiamo di tirare dritto per risparmiare e anche perché viaggiamo bene . 

Ad una decina di km da Mubenda però, sentiamo improvvisamente un fischio “Fsscchh!”, tutti pensiamo ad una gomma, in realtà l’acqua è andata in ebollizione ed ha fatto staccare un tubo nel motore, ci fremiamo subito sul lato strada e facciamo scendere donne e bambini, che si avviano in un cortile della casa lì accanto, dalla quale uno stuolo di bambini è uscito a curiosare, sporgendo le teste da dietro la siepe. Dobbiamo attendere un po’ per mettere acqua, che chiediamo alla famiglia di quella casa, dopo un po’ una bambina arriva con due bottiglie di acqua marroncina (a dire poco) ed iniziamo le operazioni, alla fine mettiamo almeno 7/8 litri d’acqua (in parte evaporata subito), ma l’autista non si era accorto di essere senz’acqua?! 

 

 Il pesante carico di Matoke passa dalla bicicletta al tetto del minibus. 
A Kampala costerebbe di più.

Nel frattempo la Signora della casa è andata a prendere una stuoia che ha messo sotto un albero, invitando Moni, Rose e le bimbe a sedersi. Nel frattempo altri bambini si sono avvicinati a curiosare. Si riparte, diamo 1000 USh ala bimba, che si inginocchia per ringraziarci, scambio di “ciao ciao manina tra musungu e locali” e via. No, niente via, il minibus non parte! Tutte le bambine vengono fatte scendere, e ci mettiamo a spingere, in realtà basta una sola spinta all’indietro e il minibus si accende, nuovi saluti e via. Ma davanti a noi un autobus sta superando un camion, l’autista, che era ripartito senza guardare la strada si butta a sinistra, davanti a noi un gruppo di bimbi, un odei quali si mette a correre sul ciglio della strada, proprio in direzione dell’autobus. Attimo di tensione. Poi l’autobus rinuncia al sorpasso e tutti tiriamo un sospiro. 

 
 Vendita di Matoke a bordo strada

La strada prosegue attraversando paesi e cittadine, il driver a tratti si fa prendere dalla gioia di tornare a casa prima del previsto e Rose gli dice due paroline in lingua locale, io comunque decido di sedermi dietro di lui, “occhio non vede, Cello non trema”. Ci fermiamo più volte a comprare patate, cipolle, altra frutta e verdura, arrivando vicino alla città il traffico aumenta, di nuovo rischiamo un frontale, allora mi metto anche le cuffie “orecchio non ode – le esclamazioni delle donne – Cello non trema ma un po’ trema lo stesso”. 



L’attraversamento di Kampala è un inferno, non ci sono altre parole, un incubo di smog, polvere, moto, minibus, camion, auto, buio, casino, e milioni di persone per la strada, a tratti si sta fermi o si procede a passo d’uomo. Continuamente una moto o un auto, ma ancora più spesso un altro minibus, tentano di infilarsi, in una lotta continua per lo spazio; dobbiamo traversare tutta la città, arriviamo esattamente dalla direzione opposta, impieghiamo non so quanto per arrivare a casa, ben più di un’ora, le bambine sono eroiche. 
Ma quanti abitanti ha questa città?, ma soprattutto: c’è qualcuno di loro che non è per strada stasera?!

  Galline in viaggio.

L’arrivo a casa è un sollievo, qualche preoccupazione per l’autista che sembra avere ricevuto una telefonata dalla polizia, che lo ha convocato per “qualcosa che riguarda la moglie”, in realtà si rivelerà essere poi uno scherzo della moglie stessa. Saluti al driver con stretta di mano, doccia e a nanna. Blanca si è addormentata sul minibus prima di arrivare. 
Buona notte, dormo di nuovo con mia moglie, finalmente.

sabato 8 febbraio 2014

IL MOMENTO PIU' ANIMALE


8 gennaio.
Stamattina sveglia alle 6,20 si parte alla ricerca dei leoni. Ci affidiamo ad un’organizzazione privata (http://www.uganda-carnivores.org/) gestita da un veterinario tedesco, la dritta ce l'hanno data alcuni amici di Luca incontrati a Kampala nei primi giorni. Non li ringrazierò mai abbastanza. Noi usciamo con una guida ugandese, James. Da una quindicina di anni hanno iniziato a posizionare dei radiocollari ai leoni dei questa zona del parco, ad oggi sono dieci gli animali dotati di collare, ognuno dei quali costa 500 dollari circa. La guida inizia la mattina con una raffica di parole, ci spiega i problemi di convivenza tra gli animali e le popolazioni locali, installate qui intorno da secoli per lavorare il sale, che viene estratto da un paio di laghi.

 

 Capita che i leoni uccidano del bestiame (mucche, capre), e la reazione a volte è il loro avvelenamento da parte della gente stessa, che qui vive molto a fatica, perché non si può coltivare nulla. D’altro canto, il leone fa molto meno fatica ad uccidere una mucca che un capra, più piccole, più lente, per nulla aggressive, se paragonate alle sue prede abituali; quindi il rischio è che impari a procurarsi cibo in questo modo, e questo sarebbe un casino. Inoltre la popolazione locale, che in generale sta aumentando (lui dice che l’Uganda è al primo posto per il tasso di incremento demografico) non riceve alcun indennizzo dal governo (con i soldi che quest’ultimo incassa dai permessi per gli ingressi nel parco) e questo complica ulteriormente le cose. 


James ha un’antenna con la quale captare i segnali, ogni animale ha una frequenza diversa così lui sa quale animale è più vicino; inoltre l'uscita con questa organizzazione consente l'uscita dalle piste, cosa che è vietata a tutti gli altri. Andiamo nella stessa zona di ieri. James si ferma ed accende lo strumento collegato all’antenna, che fa girare a destra e sinistra. 

Facciamo ancora qualche chilometro, poi ci fermiamo di nuovo. Io, Luca e la guida saliamo sul tetto, ed iniziamo a seguire i diversi segnali che captiamo. Quasi subito usciamo dalla pista, l’erba è alta più o meno come il grano da noi prima del taglio, dobbiamo fare attenzione ad evitare le zone con l’erba un po’ più verde perché potrebbero nascondere terra molle, con il pericolo di “piantarci”. 


Procediamo per un momento, poi James posa l’antenna e dice “ormai non devo più cercare il segnale, la vedi?” Io naturalmente non vedo una mazza. Ancora un po' di sforzo e ci arrivo anche io, è una leonessa stesa su un termitaio!
 

 
Ci avviciniamo, fino ad arrivare a qualche decina di metri. Lei sonnecchia, e non pare disturbata dalla nostra presenza. Stiamo lì fermi con il motore spento, a fare foto e commentare a bassa voce, non si sa mai. Giriamo larghi intorno al termitaio, James comincia a brontolare nei confronti dell’autista, che “è un taxista di città e non sa guidare qui”. Passiamo di nuovo davanti alla leonessa, ma dall’altro lato, riesco a fotografarla meglio. Che figata, se penso all’ammasso di auto e gente di ieri, per poi vedere un attimo un leone a 100/150 metri! 


Si ricomincia a fare girare l’antenna, e ripartiamo sempre viaggiando nell’erba, navighiamo in mezzo agli Ugandan Kob, cugini dei caprioli che qui sono a centinaia, un po’ più lontano si vedono anche i bufali, alla nostra destra c’è una zona un po’ più bassa, infatti l’erba è tutta verde; il panorama è bello, ci sono cespugli rotondi della larghezza di una decina di metri, ogni tanto un albero. 



Sono tre i maschi che stiamo cercando, James è sicuro di avere captato il segnale di due di loro, mano a mano che ci avviciniamo aumentano i brontolii verso l’autista il quale, come scopriremo dopo, nel frattempo ha paura dei leoni, tiene il finestrino chiuso, poi lo abbassa per ascoltare le nostre indicazioni sulla rotta da seguire, poi lo tira di nuovo su, e dice a Rose “questi leoni non sono mica capre… io ho paura!”. Dopo una lunga navigazione nella savana James ci dice che siamo arrivati, a terra c’è un bufalo morto, ma io non vedo niente. “Dritto davanti a noi!”, dice lui. Io dico che l’ho visto, ma non è vero. Poi lo vedo, anzi li vedo, sono due maschi!! Entrambi si stanno riposando all’ombra di due cespugli. Questa notte hanno ucciso il bufalo, iniziato a mangiarlo, ora sono sazi e respirano a fatica. Siamo a circa 20 metri. Non ci dobbiamo muovere, né parlare forte, che emozione. Non ho nemmeno paura, anche se in teoria…
 


Al piano di sotto l’autista suda freddo, anche se non fa ancora così caldo, “Ma cosa ci faccio qui, io voglio tornare dai miei bambini...”. James ci racconta che il bufalo non era nemmeno vecchio, come avviene spesso. Quindi ucciderlo non deve essere stato facile, abitualmente uno dei due leoni salta sulla schiena della preda mentre l’altro lo azzanna alla gola. Quando la vittima cade in terra, uno dei due predatori “lo apre” dall’ano, a quel punto fuoriescono le budella ed il gioco è fatto. E così viene sfatato il mito femminista della sola leonessa che procura il cibo per tutti.
 

Su un albero poco lontano si sono appollaiati due avvoltoi, ma per un paio di giorni ancora non gli sarà permesso partecipare al banchetto. I due leoni alterneranno riposo ed alimentazione, riposo ed alimentazione.

 

Ci allontaniamo, facciamo un giro lungo e poi torniamo sulla scena di caccia, questa volta siamo ancora più vicini ad uno dei due, chiamato “Papà”, saremo a circa dieci metri. Sento forte l’emozione, ma non ho paura, probabilmente la prima supera la seconda e la nasconde, perché i motivi per cagarmi sotto ci sarebbero tutti. 


Decisamente un momento non degno della lega dei prudenti (che infatti mi espelle pochi giorni dopo, vedi QUI). Facciamo ancora qualche foto, James tira fuori un pezzetto di carta e si segna i dati dell’avvistamento. Così, come se fosse al bar davanti ad un birra, e non seduto sul tetto di un minibus a dieci metri da un leone maschio… Stiamo lì fermi qualche minuto, poi ce ne andiamo, passando ancora un attimo a fare visita all’altro leone, che però è più infrattato con la testa dentro al cespuglio, e non ci degna di un solo movimento. In realtà ci spostiamo di poco, giusto il tempo di arrivare in uno spazio relativamente aperto, abbastanza distante dai cespugli, per scendere con calma dal tetto del minibus dove abbiamo passato l’ultima ora. 


A quel punto mi rilasso, e diciamo a James che vogliamo tornare, siamo più che soddisfatti così. Incrociamo parecchi minibus, jeep e mezzi vari carichi di turisti che fanno il giro che abbiamo fatto ieri.
 

Sapendolo prima, è molto meglio risparmiare i soldi del giro normale, perché in questo, oltre a vedere davvero i leoni, si vedono anche tutti gli altri animali, e meglio perché si è nella savana e non confinati sulle strade. Questa organizzazione è davvero strepitosa.
PER CONTATTARLI: la loro base è nella penisola di Mweya, cinque minuti sopra l'imbarco per la navigazione sul canale Kazinga. Ludwig Siefert tel +256(0)791779442 -
James Kalyewa tel +256(0)791492245; il sito è: http://www.parksadventure.com/

VIDEO BESTIALE

Una montaggio artigianale di video girati nel Parco Queen Elizabeth

martedì 4 febbraio 2014

DUE GIORNATE BESTIALI - Parte Seconda


(SEGUE DALLA PRECEDENTE) Al pomeriggio andiamo a fare la navigazione sul Kazinga Channel, che unisce il lago Edward ed il lago George. E' una figata assoluta. Vediamo tantissimi animali, da vicino, perchè la barca si accosta alla riva dove sono spaparanzati decine di ippopotami, bufali, qualche coccodrillo, e poi elefanti, aquile bianche sugli alberi, tanti tipi di uccelli. Ci sono parecchie ossa, perchè qui di notte la vita incontra la morte. Tre ore di bellezza. Un trionfo di clic.