domenica 21 settembre 2014

TRANSITALIANA DI RITORNO - parte tre

segue

A Reggio Emilia il capotreno comunica al popolo viaggiante che siamo fermi a causa dell’investimento (autoinflitto?) di una persona nella stazione di Parma. Sul treno cala un attimo di silenzio, ma non è cordoglio. E’ pura paura, ognuno teme di passare le prossime ore fermo qui. E giustamente a qualcuno saltano in nervi in meno di cinque minuti. Sto andando al capotreno a chiedere se si possono aprire le porte del treno, vorrei scendere per comprare il giornale approfittando dell’attesa, (qualcuno vorrebbe sgranchirsi le gambe, qualcuno fumare, qualcuno se ne fotte e fuma lo stesso anche se non si può). Davanti a me cammina nella stessa direzione un tipo, che brontola già due carrozze prima di quella dove sta il capotreno. Appena arriva da lui lo investe. “E’ un sequestro di persona!, non potete!, fateci scendere!, è una vergogna!, aprite le porte!”. Non è interessato ad ascoltare le ragioni del capotreno, che non può aprire le porte perché il treno non dovrebbe fermare a Reggio. Io ho già avuto la mia risposta, e me ne torno allo scompartimento.

In realtà la sosta durerà un quarto d’ora al massimo, poi andiamo piano piano fino a  Parma. C’è ancora la polizia su un binario laggiù.

Il treno passa senza fermarsi alla stazione di Sant’Ilario. “Tutti si accorsero con uno sguardo che non si trattava di un missionario”, cantava il miglior poeta che abbiamo avuto. Che sia quella stazione, dove scese Bocca di Rosa?

Dopo colazione viene varato un cartone animato per controllare le truppe, così facciamo due chiacchiere con i nuovi compagni, una Signora che da anni fa Bologna-Torino-Bra una volta al mese (“Nove euro a tratta, ho già i biglietti fino a dicembre”), ed un ragazzo sceso a Bologna da un notturno Vienna-Livorno (chi lo avrebbe mai detto che esiste una tratta così?) e salito sul 754 verso Torino (“Il cantiere di Porta Nuova lato via Nizza? E’ lì da prima delle olimpiadi…”).

Ho un tuffo al cuore quando vedo lontani gli appennini, non mi ero reso conto che mi mancassero le montagne. Più tardi la vista del re di pietra nella tipica luce di settembre mi struggerà, come sempre.



A proposito di struggimento, corre qui l’obbligo di citare alcune cose che mi hanno “strutto” in queste due settimane. Non c’è un ordine di importanza, è un elenco e nulla più.

Pesce, mai mangiato così tanto, e buono. Anche grazie al prezzo, più basso e di parecchio. Campione di questo capitolo la pescheria Greco di Porto Cesareo, dove ho anche pensato di propormi come manovale, in cambio di una stanza che puzzasse di pesce ed un chilo al giorno. Di pesce, ovviamente. A pari merito il ristorante “La nave” di Sant’Isidoro. Mitologico. Ci siamo stati due volte. Perfetto. Non servono ulteriori parole. Grazie a chi ci ha dato la dritta.

Mozzarelle, burrate, ricotte e dintorni. Da comprare assolutamente, anche semplicemente al supermercato. La mozzarella del primo giorno pesava un chilo. Anche di queste abbiamo fatto razzia. Una frisa sotto il pesce. Chi non è piemontese cercasse la traduzione di “frisa”.

La cattedrale di Otranto. Non sono uno che si appassiona di architettura, religiosa meno che mai. Ma qui si parla di un’eccezione. Meravigliosa. E dire che ci siamo stati in pieno pomeriggio con pesante e pedante afflusso di turisti, con le figlie al seguito che non hanno collaborato alla serenità del momento. Vorrei tornarci al mattino presto. Secondo me vale il viaggio. Esagero? Vabbè.

Il mare. Colore caraibico. Spettacoloso. Sia quello bagnato dalla sabbia che quello lambito dalle rocce.

Mediterraneo, nel senso del film. L’ho rivisto una mattina presto. Che bello. Mi ha strutto di brutto.

L’amico Paolino, Qui voglio rendergli pubblico omaggio. E non perché ebbe a dire che sono un genio che verrà capito fra qualche secolo. Per me il compagno ideale per un viaggio così. I non detti pesano, anche quelli positivi. Ora sono più leggero.

La mia famiglia. Non servono aggettivi.



Da Piacenza in poi mi tuffo in un libro, bellissimo, alzo la testa ogni tanto per vedere se si vedono già le montagne. Di là, i bambini fabbricano braccialetti. C’è una luce strepitosa. A Trofarello il treno viaggia talmente veloce che pare voglia travolgere la stazione. Entriamo in stazione con un quarto d’ora scarso di ritardo e con una luce di settembre forte così.



Sono passate ventidue fermate, tredici ore e venticinque minuti dalla partenza. Torino Porta Nuova, stazione di termine corsa. La pescheria Greco è milleduecento chilometri più giù. Che magia, il treno.
Fine

mercoledì 17 settembre 2014

martedì 16 settembre 2014

TRANSITALIANA DI RITORNO - Parte due


(Segue)
Comunque, ritiriamo i bagagli ci avviamo verso l’atrio. Fa parecchio caldo anche se è buio da un pezzo. Si, perché non ci si rende conto di quanto levantino sia il Salento. Dovrebbe avere il fuso orario greco. C’è un’ora piena di differenza con il tramonto della regione più occidentale d’Italia, in cui viviamo noi. Lecce e Budapest condividono la stessa longitudine.
All’arrivo del 754 ci siamo organizzati, una femmina va al binario e fa la guardia al bagagliame, i due maschi fanno la spola con borsoni da hockey, zaini, trolley, supertrolley, sacchetti, ecc; l’altra femmina resta a presidio di bagagli e bambini, che non gradiscono l’idea e sono in rivolta, presto sedata. Carichiamo tutto con tumulti di poco conto, che però si protrarranno anche dopo la partenza, portando una delle mamme a minacciare di percosse le proprie figlie ed anche quelle altrui. 
Il Milano parte mezzo vuoto, e ci illudiamo che anche il nostro non sia pieno. Il ferroviere a cui rivolgo la domanda stronca ogni illusione con quattro parole: “si riempie di sicuro”. Il nostro territorio consiste in uno scompartimento intero ed uno a metà, nel quale io, Paolino ed una delle bambine ci siamo organizzati, abbiamo fatto le prove di posizione, due e mezzo per tre sedili. Mando anche la foto all’amico amante della ferrovia tramite uotsappa, già dal pomeriggio ho iniziato a farlo partecipe della imminente transitaliana direzione nord ovest.
Alle 22,10 arriva il magico fischio, il nostro scompartimento non si è popolato. Penso che il ferroviere abbia sbagliato la previsione. Sta minchia. Alla prima fermata, Brindisi, eccoci in sei. Davanti a me una ragazza talmente soda che sembra di marmo, molto gentile ed anche bella nel suo genere. Lei scenderà presto, a Monopoli, una delle tremilaseicentoventi fermate pugliesi del 754. Verso il corridoio siede ora una coppia di mezza età, a domanda rispondono “andiamo ad Ancona”. Sconforto. Dopo un po’ becco il lui della coppia che guarda sul tablet un catalogo di donnine svestite, al riparo dagli occhi della moglie. Strepitoso.
Compatibilmente con lo spazio a disposizione cerchiamo di riposare. A tratti dormo anche un po’. Ostuni-Fasano-Monopoli. A Monopoli la ragazza scende, fino a Bari abbiamo quattro sedili. Mi addormento. Il ragazzo titolare del posto, che sale nel capoluogo mi sveglia fischiando. Sti cazzi. Siamo nella prima carrozza dietro la motrice, il treno fila nella notte che pare velocissimo, il conducente forse conosce gente lungo tutto il tragitto perché suona in continuazione. Che figata. Vorrei registrarlo. Ogni tanto mando all’amico ferroviofilo un messaggio, immagino li  leggerà domattina. In men che non si dica siamo nel Gargano, a Foggia dormivo. Ricordo almeno tre compagni di naja provenienti da queste parti, i loro paesi avevano nomi come San Marco Inlamis, Troia, San Severo, dove passiamo alle zero una e quarantasei. Un’oretta dopo c’è Ortona, che non ho idea di dove sia. 
Alle tre scarse il treno arriva a Pescara, sento dire, o forse sogno, che siamo in anticipo. Quindi stiamo fermi una vita. Anche questa volta mando una saluto all’amico pescarese, che dopo un po’ mi risponde, mentre cade dalla poltrona verso il letto. Ad Ancona centrale la coppia scende, restiamo in tre e mezzo. Nuova sosta prolungata, il conducente pilota il notturno come se fosse una freccia, abbiamo trenta minuti di anticipo. Questa città mi ricorda Ferrini, uno dei personaggi di “Quelli della notte”, un veterocomunista con cravatte improbabili, che ad Ancona voleva costruire un muro. Verso la Romagna il tipo del nostro scompartimento scende, non lo sento perché dormo, chissà se ha fischiato per salutare? 
Fino a Bologna è una festa, abbiamo un po’ di spazio, ormai è giorno ed il mio sonno latita, e non solo il mio. Vado a prendere la moglie, di nuovo accucciata nel corridoio in un suo tipico eccesso di altruismo, e la metto al mio posto a dormire. La carrozza inizia a rianimarsi (per la verità qualcuno non ha mai smesso di parlare…), un uomo con pancia sosta a lungo davanti al suo scompartimento e guarda fuori. Chissà verso cosa viaggia lui. 
Ad Imola è giorno fatto, io siedo sul seggiolino del corridoio ascoltando nelle cuffie l’inno nazionale sovietico. Naturale mandare un messaggio al collega comunista. Si susseguono campi e campi, tutto in ordine. Saluto via uotsappa la cognata africana di Bologna dalla stazione della sua città d’adozione. Colazione per tutti. I bambini sono svegli da un po’. Moni per fortuna è l’ultima a svegliarsi.
Nel frattempo erano passati un paio di ragazzi con un carrello annunciando caffè e brioches. Ricordando un viaggio del 1991 su un treno sovietico, tratta notturna da Mosca a Vitebsk, chiedo se è gratis. Non sono sicuro che apprezzino la provocazione.
(Continua)

domenica 14 settembre 2014

TRANSITALIANA DI RITORNO - Parte Uno



E’ come se si fossero accordati. Almeno uno sempre presente. Altrimenti non si va via. Il notturno 754 per Torino è l’ultimo che va. Prima di lui parte il cugino, il 752 per Milano. Dopo che anche il Torino è partito resta di guardia il Freccia Bianca arrivato alle 21,40 da Milano. 
Lui fa il presidio per la notte. Hai visto mai che arrivano gli sgherri di Moretti a chiudere la stazione, in nome della “razionalizzazione”, della “ottimizzazione del rapporto costi benefici”, o bestemmie simili. Gli altri, i locali delle ferrovie del sud est o i numerosi regionali che uniscono i vari centri della regione più lunga d’Italia, non avrebbero abbastanza forza per resistere. Ci vuole un peso massimo.
Una delle immagini che spero mi restino a lungo è quella di Noa e Gioele che si fanno mano nella mano tutto il lungo corso che porta alla stazione. Sono meravigliosi. Anche per traversare la strada non li prendiamo per mano noi, li lasciamo andare così, troppo belli per essere interrotti.
Della reale esistenza del deposito bagagli non siamo stati sicuri fino a che non lo abbiamo visto, ci hanno detto che c’era, poi che non c’era, poi che “forse si ma comunque l’orario non lo so”. Quindi ci siamo affidati al web, che come noto dice solo la verità. Il sito di Trenitalia dice che il deposito bagagli alla stazione di Lecce non c’è. Infatti eccolo lì, affidato ad una procace bionda tinta di provenienza esteuropea che non si fa sedurre dalle battute dell’amico Paolino, alla ricerca dello sconto sulla tariffa.
Ma questo succedeva qualche ora addietro, dopo che avevamo caricato donne e bambini sul bus per Lecce (anche lui incerto, almeno come orario), caricato all’inverosimile la macchina con i bagagli di due famiglie con figli, chiacchierato di Umbria, Jazz, Heavy Metal, di mio padre, mio nonno e mia nonna nel tragitto verso il capoluogo Salentino, cercato invano una pizzeria che ci facesse da deposito bagagli gratis in cambio della prenotazione. Dopodiche io ho restituito l’auto con la figlia dal nome spagnolo, con lei sono tornato per mano e per bus nella zona della stazione, con lei ho trovato la pizzeria segnalata da Paolino, siamo andati a lavarci le mani in un bagno diviso dal forno del pizzaiolo da una parete dilettante, con conseguente temperatura parainfernale, ci siamo seduti fuori al fresco ed abbiamo guardato Mohammed preparare il tavolo per nove e le auto passare nella zona a traffico limitato (!?). Gli altri in giro per Lecce, che ho avuto l’impressione essere splendida solo a guardarla dal bus. Quando sono arrivati da noi Blanca aveva già preso un’edizione straordinaria della nota bibita in lattina biancorossa. Così sono iniziati i diverbi di paglia con gli altri bambini. La pizza era ottima, ed anche economica rispetto a quella del nord ovest.
1/continua.

domenica 7 settembre 2014

SALENTO IN FOTO

 Diversamente bandiera

 Blanca Anita e Dino

Splendori di mare di terra di cielo 

 Lu mare Lu sole La gentu

 Compagno di viaggio

 Abitante alato di Torre Lapillo

 Torre Lapillo - particolare

venditore di cose gonfie

martedì 2 settembre 2014

TRANSITALIANA

La giornata della partenza, come sempre, è piena di tensione e nervosismo. Mi fa arrabbiare questa debolezza, che ad un certo punto ho anche attribuito all'età (ma poi ho ricordato quanto scrissi prima di partire per l'argentina, 14 anni fa...). Ma mi viene ogni volta che mi stacco dall'abitudine, inizio a vedere la bellezza delle cose che faccio normalmente, di certo enfatizzandola, mi chiedo perchè devo lasciare le mie certezze di ogni giorno e cazzate così.
Sul treno da Torino, in realtà, come speravo/prevedevo, ci sono gli scompartimenti. Ne abbiamo uno intero e tre posti su sei in quello accanto. Il treno è come ricordavo, tanti anni fa. Una vittima scampata al verbo attuale delle italiche ferrovie, che ti portano per soldi e non per servizio pubblico. Invece questo treno è servizio pubblico. Il treno è pieno e pieno sarà fino alla fine, o giù di lì. Tra gli altri ci sono alcuni bambini, un cane, una Signora che cammina a fatica sorretta dalla figlia, gente che parla al telefonino con i parenti che sono a meno di un metro sulla banchina al di là del vetro, un uomo sulla sessantina in camicia, pantaloni della tuta e ciabatte; uno che di certo ha già fatto questa tratta e si è attrezzato a dovere per la traversata, sono1200 km fino a Lecce. Dodici ore e mezzo. Nello scompartimento che possediamo a metà c'è una giovane coppia, tornano a Foggia, lui ha il naso aquilino e l'ascella d'assalto, per fortuna durante il viaggio muoverà poco le braccia. A Piacenza scende la sesta persona, una ragazza che leggeva un libro spagnolo e parlava con probabile accento francese. Ci illudiamo che il posto resti vuoto, ma così non è. Sale un tipo che va a Barletta, anche lui pare uno esperto di questa traversata. Molto più tardi, a Foggia, ci farà spostare verso il finestrino quando i due ragazzi scendono, “mi metto io verso il corridoio, così potete dormire, ed io non vi disturbo per scendere”. Tattico. I cinque bambini sono eccitati, ma li stendiamo con un cartone dopo la cena comunitaria, consumata nel “nostro” scompartimento. Io non li vedrò fino al mattino. La colonna sonora è quella classica, lo sferragliare che fa godere gli appassionati di ferrovia. Uno di questi lo rendo partecipe della traversata con messaggini di uotsappa. Mi pare che goda, in effetti. Ad un certo punto della notte mi dice che “pare un'altra epoca”. In parte è così, in parte no. E' un'altra epoca perchè oggi parlare di ferrovia di fatto vuol dire alta velocità, concorrenza all'aereo, biglietti sullo schermo del telefonino, e si dimenticano i milioni di pendolari che ogni giorno vedono solo i lati deleteri delle nostre riorganizzate ferrovie. L'attualità ferroviaria non sono certo i pochi notturni che uniscono questo paese che forse paese non è, fermo per tanti aspetti quotidiani all'Italia dei comuni. Non è un'altra epoca, per fortuna, perchè meno male che questo tipo di treni è fisicamente lo stesso che era anni fa. Meno male che non si è modernizzato, razionalizzato, riconvertito. E' rimasto uguale a se stesso, ma in un tempo diverso. I sedili si possono tirare verso il centro, trasformando lo scompartimento in un unico letto gigante. Non ci sono le prese elettriche, se non quelle per i rasoi nei bagni che, una volta giunti sull'Adriatico, da bagni sono ormai diventati cessi. Nei corridoi ci sono i seggiolini a scomparsa per le vittime dell'overbooking. Che però, ferroviescamente parlando tali non sono, prendendo un treno così lo devi sapere che corri quel rischio, soprattutto se sali in una stazione intermedia e non hai prenotato. Una volta sulle porte degli scompartimenti c'erano i bigliettini che indicavano se i posti erano prenotati. Nemmeno l'ombra sul treno nostro. Però i controllori, oltre al tablet per controllare i biglietti, hanno anche quel coso per bucarli, i nostri “titoli di viaggio”. Ci sono ancora le reti supplementari nei corridoi, per i bagagli che non entrano negli scompartimenti, reti sulle quali si narra che dormissero gli immigrati che facevano la traversata a nord verso un lavoro o a sud verso una famiglia. E' interessante passeggiare su e giù per la carrozza, ed osservare cosa succede negli scompartimenti, dove ci si accorda per spegnere presto la luce, dove si fraternizza, o dove ci si fa i fatti propri ed ognuno guarda fuori anche se non si vede nulla, se non luci che corrono via in un attimo. Dove la porta è chiusa, ed in tal caso sono possibili anche le confidenze; dove è aperta ed in tali casi sono voci alte per tutta la notte... E' una convivenza forzata, certo, ma c'è più umanità rispetto all'atmosfera algida dell'alta velocità, regno della tecnologia, tutti sempre connessi ed ognuno in fondo perso dentro gli schermi suoi. In realtà passo la maggior parte della notte intento ad incroci da circo con Paolino, alla ricerca della posizione meno peggio, che a tratti è quasi comoda; dormiamo a momenti nei nostri tre sedili in due, mi ricordo Alessandria, poi nebbia fino a Bologna, ma forse Voghera sì, e Piacenza di sicuro; nel frattempo ho aperto la porta dello scompartimento perchè fa un caldo boia; fino all'adriatico inoltrato probabilmente dormo/sonnecchio, non ricordo nulla prima di Pescara (quasi quattro ore da Bologna). La riconosco perchè sento un dialetto che mi ricorda Marco ed allora gli mando i saluti dalla sua città. Di nuovo nebbia fino a Foggia dove scendono i ragazzi e ci trasferiamo verso il finestrino (allora mi porto anche lo zainetto, non si sa mai...). Siamo già in Puglia, sono le cinque e mezza circa, ma siamo a poco più di due terzi del viaggio, a Lecce mancano tre ore e mezza. Dopo un po' arriva il sole, sento che arriva un passeggero, ha una prenotazione per uno dei posti sui quali sto dormendo io e Paolino, fingo di dormire (lui ha sicuramente dormito più di me, stanotte. Si sistema su un sedile accanto al corridoio. Di botto lo scompartimento sonnolento è destato dal classico “Biglietto, prego!”, servitoci con delicatezza nulla dal controllore. Poco più tardi se ne arriva Moni e scopro che ha dormito in terra nel corridoio. Magari al ritorno sto un po' più attento alla mia famiglia...Verso Bari viene decretata la colazione per le due famiglie, che durante questa traversata siamo una sola, scoppiano i soliti diverbi di paglia sul numero di biscotti che un bambino ha mangiato rispetto ad un altro, e qui il treno perde tempo, girano voci del malore di una passeggera, si starebbe aspettando un'ambulanza, ma chissà se è vero. Il treno sta fermo a più riprese, a Bari centrale ma anche in stazioni minori del capoluogo. Accumuliamo un po' di ritardo ma quasi subito dopo iniziano chilometri e chilometri di Ulivi meravigliosi (la maiscuola è d'obbligo perchè l'Ulivo non è solo un albero, è un'opera d'arte) che scorrono a lato della ferrovia, divisa da loro quasi sempre da altrettanto belli muretti in pietra. Bitonto/Fasano/Brindisi, poi il treno vira un poco ad ovest, lascia l'Adriatico ed arriviamo a Lecce con venti minuti di ritardo e con un sole forte così.
La traversata è finita, casa è milleduecento chilometri più su. Siamo alla stazione di termine corsa. Che magia, il treno.