mercoledì 29 gennaio 2014

TRA PAULINA E LA REGINA, E ALLA FINE ANCHE IL RE.


Il mattino dopo la festasa prepariamo tutto e lasciamo l'albergo, passiamo ancora a salutare Paulina e le sorelle di Rose. C'è ancora il tempo di giocare a rimpiattino con una Signora che fa finta di non volersi fare fotografare, ma poi mi allarga dei sorrisi grandi così quando la inquadro. E' tornata anche una zia di Rose, ha un foulard in testa, fotografo anche lei. 


 

 

Facciamo la classica foto di gruppo (dalla quale si nota come almeno un paio di elementi bianchi della famiglia non siano proprio entusiasti di stare lì fermi a guardare uno che scatta a ripetizione...). 


 

Quando stiamo per partire Paulina ci regala una canzone, che nei giorni successivi più volte risuonerà all'interno del minibus in giro per l'ovest Uganda. 
Traversiamo una zona con straordinari paesaggi, sono piantagioni di thè. Mi viene la voglia di tornare qui, fermarmi almeno una notte ed andare a fare foto alle piantagioni nella luce del mattino. La polizia stradale ci ferma 7 volte in un paio di ore. Mai ci viene chiesto un solo scellino. “Perchè ci siete voi Musungu”, ci dice l'autista. Altrimenti la regola non scritta dice 2000 scellini. Una volta i poliziotti ci chiedono un passaggio(!?). In realtà sono molto gentili, nel tratto in cui loro sono a bordo con noi stiamo appunto traversando la zona del thè, e si sprecano le esclamazioni, tra le quali naturalmente “Mamma mia!”. Allora il poliziotto che mi siede accanto inizia a chiedermi se siamo spagnoli o italiani e si chiacchiera un po'. Prima di scendere fanno due coccole alle bimbe e se ne vanno, di bianco vestiti. 



Arriviamo al Parco Queen Elizabeth (intitolato alla sovrana britannica dopo una sua visita al parco decenni orsono) abbastanza tardi, l'ultimo tratto di asfalto è disastroso e poi c'è una pista sterrata piena di buche e polvere. Siamo alla penisola Mweya, vicino al lago Edward, diviso a metà fra Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Alloggiamo in una casa all'interno di un campo, finalmente l'autista ha una camera per lui, ho scoperto da poco che a Ibanda ha dormito nel minibus. Subito usciamo con una guida, ma il giro è abbastanza deludente perchè mi aspettavo di vedere più animali. Ci fermiamo in un poverissimo villaggio sulle rive del lago dove da secoli lavorano il sale. In acqua ci sono parecchi Ippopotami, e riesco a coglierne un paio che si fronteggiano con la bocca spalancata. La mia contentezza risale subito.
  


L’avvenimento della giornata arriva alla fine: stiamo rientrando da un giro pomeridiano con una guida, ormai è quasi buio e siamo a poche cento metri dalla sbarra del campo. Un urlo di Rose “Stop! Lion!!”, l’autista si ferma e torna indietro, Blanca chiude il finestrino anziché aprirlo, ma non si è sbagliata lo ha fatto intenzionalmente; nella penombra sulla sinistra della strada, a dieci quindici metri, si vede benissimo la sagoma del leone maschio. 

E’ un momento di brividi, la guida fa spegnere il minibus, le luci, le bocche, tutto. Il leone, che ha scosso la criniera e guardato per un attimo nella nostra direzione quando ha visto che il minibus ha fatto retromarcia, resta fermo per un attimo, poi cammina parallelamente alla strada, e sparisce nella vegetazione bassa. 

Ripartiamo, ma per tutta la sera ne riparleremo, le bambine sono eccitate e spaventate ad un tempo. Chi sogna il leone e la mattina dopo è ancora lì che ne parla. Chi chiama la mamma a metà notte perchè la vuole nel letto con sè.

Tutti siamo impressionati, non ce lo aspettavamo. Quanti minuti insignificanti viviamo nella nostra vita abituale, quella di tutti i giorni, quella delle abitudini? Quanti minuti della nostra vita passata siamo in grado di isolare con la memoria? Anche questo momento dura un minuto, ma è uno di quelli che ci ricorderemo.

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