«Ieri mattina, saranno state le sette, ho deciso di comprarmi un fucile per sparare ai negri. Ma prima avevo voglia di una spremuta d'arancia. Suina o no, la vitamina C non è mai troppa. Solo che in cucina le arance erano finite. «Peru!», ho chiamato. Zero. Ho cercato la domestica peruviana dappertutto, anche nel sottoscala dove la teniamo. Niente. Mi sono chiesto: che Paola le abbia dato un altro giorno di libertà, dopo quello dello scorso anno? Ma mia moglie dormiva. Non volevo disturbarla. Allora ho deciso di far colazione al caffè. Tanto, mi sono detto, devo andare a comprarmi il fucile. E poi il mercato è dietro l'angolo, prendo pure le arance. Così sono sceso.
Al caffè però mi han detto che le arance erano finite. Vabbé, ho risposto, grazie. Fuori del locale non c'era la solita zingara. A forza di elemosine dovrà ancora tornare dalla settimana bianca, ho pensato. Tutti ricchi sfondati, 'sti zingari. Ma ora che mi compro il fucile, mi sono detto, forse posso sparare anche a loro. O si può sparare solo ai negri? Devo informarmi. Quando sono sbucato nella piazza del mercato, ho puntato dritto verso il banco dove si serve mia moglie. Poi però mi sono bloccato. Strano. Il banco non c'era. E neppure il mercato. Tranne per alcune donne che vi si aggiravano perplesse, la piazza era vuota, come fosse domenica. Eppure era martedì. Ho raggiunto l'edicolante. Scusi, ho buttato lì, ma il mercato? Lui si è stretto nelle spalle: che cosa vuole, in questo paese non funziona più niente, pensi che sto ancora aspettando i giornali. Ho guardato meglio l'edicola. In effetti mancavano i quotidiani. Se li starà leggendo il corriere, ho provato a scherzare. E lui: no, il corriere che me li porta è rumeno, preferisce quelli romeni.
Intanto non mi ero ancora tolto la voglia di spremuta. L'unico bar nei paraggi era quello dove non entro mai perché pullula di marocchini, gli stessi che montano i banchi del mercato. Tra l'altro, ho pensato, chissà se si può sparargli anche se non sono negri. Devo informarmi. Sia come sia, per una volta il bar era deserto. Sono entrato. Il barista si girava i pollici. Gli ho chiesto una spremuta d'arance. E lui: le arance sono finite. A quel punto, mi sono rassegnato. Stavo per andare dritto in armeria, quando mi è partito il cellulare. Mia moglie. E la peru?, mi ha chiesto. Volevo domandarlo a te, ho risposto; le hai mica dato un altro giorno di libertà? Macché, ha esclamato lei: ora guardo che non manchi niente in casa. Mancano le arance, volevo dirle, ma lei ha chiuso.
Non ho fatto in tempo a riporre il cellulare che quello è ripartito. Mia madre. Ho sospirato. Rispondo o fingo di non aver sentito? Massì. Olga non si trova più, mi ha ruggito lei nell'orecchio. Ho esitato. Olga? Vuoi dire...la tua nuova badante russa? E lei: chi, se no? Mamma, le ho ricordato, negli ultimi sei mesi ne hai cambiate dodici. Oggi, ha tagliato corto lei, doveva portarmi al ristorante. Trovamene subito un'altra, o mi ci porti tu, così ti ricordi che esisto: e prenota un tavolo, io ora guardo che non mi manchi niente in casa. Ha chiuso anche lei. Per evitare rogne, ho subito chiamato il suo ristorante preferito. Mi spiace, signore, mi ha risposto il direttore di sala, ma oggi siamo chiusi. E' cambiato il turno di riposo settimanale?, ho indagato. No, è che cuochi e sguatteri africani se ne sono andati. E dove?, ho chiesto. Andati, spariti, puff, si è congedato lui.
Mentre riflettevo sul da farsi, mi è venuta fame. Per fortuna, lì accanto c'era una rivendita di pane. Ci sono entrato. Oggi niente pane, mi ha preceduto la proprietaria. Ma come, l'ha già finito?, le ho chiesto. Non me l'hanno consegnato, è sbottata lei, stanotte i panificatori arabi non si sono presentati. Ho girato i tacchi. Alla fine, ho raggiunto l'armeria. Ma il proprietario, anziché aprirla, la stava chiudendo. Quando mi ha visto un po' interdetto, mi ha chiesto: desidera? Un fucile per sparare ai negri, ho risposto. Lui mi ha indicato le vetrine vuote. Capisco, ho sorriso, quando arrivano quelli nuovi? Lui ha scosso il capo. Vede, mi ha spiegato, il fatto è che stanotte i negri se ne sono andati tutti, e di conseguenza le fabbriche di fucili han chiuso; senza contare che mancando i negri sparare ai negri diventa un'utopia. Be', ho borbottato, senza negri diventa un'utopia anche bersi una spremuta. Però, ho aggiunto, devo informarmi: forse si può sparare a zingari, romeni, marocchini. Non l'ha saputo?, mi ha risposto lui, sono spariti anche loro. Peccato, ho detto io. Peccato, ha detto lui. Bei tempi, quelli in cui si poteva sparare ai negri, ho sospirato io. Bei tempi, ha sospirato lui. Ma, gli ho chiesto io, torneranno? Lui ha allargato le braccia: e chi lo sa? Spariamo! Cioè, speriamo!
Con un certo rammarico, mi sono avviato verso casa. E allora ho avuto un bruttissimo presentimento. Col cellulare ho chiamato Pantera, il mio trans preferito. Ma il numero risultava inesistente. Oh, no, ho mormorato. Allora ho provato a chiamare Alì, il mio pusher di fiducia. Ma non era raggiungibile. Solo in quell'istante ho capito il senso di una frase letta su un muro alcuni anni fa: IMMIGRATI, VI PREGO, NON LASCIATEMI SOLO CON GLI ITALIANI».
(Giuseppe Culicchia, su La Stampa del 14 gennaio 2010)
http://primomarzo2010.blogspot.com/
1 commento:
Spariamo! Cioè, speriamo! Grazie per questa posta.
IMMIGRATI, VI PREGO, NON LASCIATEMI SOLO CON GLI ITALIANI».
Gli Italiani non sapevi che vi voglia bene. Grazie ancora.
Posta un commento